La complessità derivante dalla globalizzazione ci richiedono competenze tecnico/analitico ovvero SAPERE, ma soprattutto capacità di CAMBIAMENTO, ovvero SAPER ESSERE.
Nel corso degli anni ai processi empatici e relazionali si è dato sempre più importanza nella letteratura manageriale,partendo dalla gerarchia dei bisogni di Maslow, alla teoria dei 2 fattori di Herzeberg, passando poi all’ Intelligenza Emotiva di D. Goleman, che è stato il precursore delle Soft skills, per passare poi a tutti i processi formativi che valorizzano le abilità di relazione e comunicazione al pari merito di quelle tecniche/analatiche.
Insomma nelle grandi aziende si seleziona gli S.T.E.M., ma si richiede agli stessi importanti capacita relazionali, per dirla più semplicemente oggi non basta più sapere , ma la Metacompetenza da acquisire è quella di saper essere.
econdo un recente rapporto di Deloitte, entro il 2030 due terzi di tutti i posti di lavoro saranno ad alta intensità di competenze trasversali, le cd. “soft skills”.
L’analisi fatta, inoltre, sembra confermare che l’assunzione di dipendenti con competenze trasversali può aumentare considerevolmente i ricavi delle aziende.
L’Intelligenza Artificiale resta ormai la tecnologia con cui processare dati e dare valore alle informazioni per creare vantaggio competitivo, ma di sicuro tecnologie non si emozionano e pertanto non hanno creatività. La creatività quella che permette da un intuizione la creazione di un prodotto/servizio resterà la capacità critica.
Qualità come queste, comunemente definite come competenze non tecniche, che consentono di interagire in modo efficace e armonioso con gli altri, sono fondamentali per le organizzazioni e possono influire su cultura, mentalità, leadership, atteggiamenti e comportamenti.
Questa una sintesi:
● capacità avanzate di comunicazione e negoziazione;
● capacità interpersonali ed empatia;
● leadership e capacità di gestione;
● spirito di iniziativa;
● capacità di adattamento e apprendimento continuo;
● capacità di insegnamento e formazione
Sviluppare le soft skills necessarie e garantire che i dipendenti, e di conseguenza le organizzazioni, siano predisposti per il successo non è semplice come realizzare un video di formazione.
In questo caso, sicuramente il primo passo è la valutazione del gap di soft skill, ma spesso mancano meccanismi sistematici di valutazione e certificazione.
Per ovviare a tale deficit interno, i dipartimenti HR devono dotarsi di un quadro di riferimento che, tra le altre, codifichi anche le competenze trasversali definendone i rispettivi criteri di valutazione.
Ad esempio, diverse aziende europee stanno adottando iniziative di “stepping stone” per costruire una piattaforma digitale che aiuti i lavoratori a riconoscere e valutare le proprie soft skill, e i rispettivi propri punti di forza e le esigenze di sviluppo, accedendo a corsi di formazione specifici e ottenendo relativa certificazione.
Le persone operano naturalmente in base agli incentivi: fanno ciò che viene ricompensato. Per incoraggiarle non solo a iniziare il percorso di apprendimento delle soft skill, ma anche a proseguirlo, premi e incentivi sono fondamentali.
Una grande società di consulenza, per continuare con gli esempi, ha per esempio recentemente implementato una serie di badge digitali per premiare le persone che completano determinate sessioni di formazione. Questi badge servono a riconoscere pubblicamente che il partecipante sta diventando un esperto in un determinato argomento, incoraggiando così i lavoratori a investire ulteriormente nelle competenze chiave.
È anche fondamentale garantire che i nuovi talenti che entrano in azienda siano pronti con le competenze più critiche fin dal primo giorno.
Il reclutamento, valutando anche le soft skill, può essere complicato, ma in genere prevede interviste strutturate che sollecitano risposte che includono dettagli sulle esperienze lavorative e di vita passate, eventi che hanno contribuito a formare la persona di oggi, oppure test di valutazione situazionale in cui l’intervistatore mette il candidato in uno specifico scenario ipotetico e gli chiede come lo affronterebbe.
Sono diversi gli strumenti e i canali per investire e avere un ritorno economico quando si tratta di sviluppo di soft skills. È possibile avviare ad esempio un programma di coaching o mentoring aiutando i dipendenti a crescere come professionisti scoprendo il loro pieno potenziale. In tale ambito, sia gli allenatori che i mentori possono fornire guida e supporto su determinati argomenti e campi, aiutando i dipendenti a rimanere concentrati sui loro obiettivi.
I dipendenti possono anche imparare dai loro coach e mentori sulle ultime tendenze nel loro settore, nonché su come valutare determinate situazioni o navigare attraverso sfide difficili.
Inoltre, è possibile introdurre in un’impresa la prassi di condurre workshop dal vivo, in pratica una formazione più diretta e coinvolgente rispetto ad altri metodi, come corsi online o video. Un modello questo che consente ai dipendenti di imparare gli uni dagli altri e ricevere feedback in tempo reale.
Ma ci sono altre possibilità cui far ricorso, tra cui il gioco di ruolo, che si è rivelato un ottimo modo per aiutare i dipendenti a sviluppare competenze trasversali. I dipendenti, infatti, possono sviluppare le loro soft skills anche attraverso pratiche ricorrenti, che possono essere ottenute tramite la formazione di simulazione. In un ambiente VR e AR, possono esercitarsi e affinare le loro abilità senza preoccuparsi di commettere errori come farebbero in situazioni di vita reale, magari utilizzando anche degli avatar. Le soft skill sono sempre più imprescindibili in qualunque contesto organizzativo e quindi per le aziende è altrettanto indispensabile imparare a svilupparle e/o stimolarle.
Fonti: articolo di Stefano Latini
Come sviluppare le soft skill dei lavoratori in azienda da Ipsoa
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